Dal Neolitico
La storia della pesca di questo grande pesce nasce nell’arcipelago delle Egadi, ovvero a sud di Trapani. Nella grotta dell’isoletta di Levanzo ve ne è traccia in epoca remota: alcuni graffiti del Neolitico, infatti, raffigurano i momenti di cattura del tonno. Fa rabbrividire se pensiamo che dopo così tanto tempo, questo pesce continua ad alimentare l’economia della nostra regione, ad essere apprezzato e ricercato da tutti.
Questione di tagli
Ora bando alla storia, parliamo di aspetti tecnici che interessano chi, come voi, lo sceglie e lo cucina. L’unico taglio sezionato in verticale è quello della pinna codale che arriva dino al comacchio o calcagno.
Si tratta di una sezione “a ruota” del pesce che rientra ancora tra i tagli preferiti dai pescivendoli siciliani che per comodità lo chiamano trancio. La parte che si approssima alla coda è più fibrosa e quindi da destinare a cotture medio/lunghe o in acqua bollente.
Un suggerimento, se vogliamo parlare di pertinenza territoriale: potete abbinarlo al Marsala Solera, studiando una salsa di accompagnamento o un abbinamento vero e proprio.
L’ombelico invece è un triangolo di carne prelibato posizionato intorno alla pinna anale: un boccone ghiotto e saporito, dal sapore deciso. Stallo o minna (è la tetta del tonno) sono carni sode, meno saporite e più magre, ideali per cotture brevi. Le spinelle nere sono due filetti sottili e grassi che, da crudi, danno sensazioni più erbacee.
Poi ci sono la codina nera e quella bianca (la seconda più grassa e burrosa, essendo più vicina alla ventresca).
Appunto, la ventresca: qui c’è un vero e proprio burro di mare, da provare in fette sottili con un pizzico di sale. E ancora la ventresca marezzata che si distingue da quella bassa (la seconda è più magra e quindi utilizzabile anche per altri usi).
Sapori ovunque
L’invito che facciamo ai nostri clienti è di non esplorare solo i tagli e gli utilizzi abituali. Con un po’ di approfondimento e conoscenza si possono davvero aprire delle notevoli strade del gusto e delle consistenze. Le elenchiamo, per comodità:
• curidda (muscoli, da mettere in salamoia o poi da far lessi e condire con pepe, limone, prezzemolo)
• l’occhio grasso (sapore forte e consistenza grassa, i marinai lo mettevano sotto sale e poi lo lessavano – specialità anche detta sausà)
• la guancetta (solo carne con del grasso d’infiltrazione, limone e pepe nero fedeli compagni)
• la testa di filetto e filetto di primo cozzo (il secondo perfetto per sughi a base pomodoro)
• il tappo (boccone del prete, memorabile da crudo al naturale)
• pinna pettorale anche detta ganascia (una costola del tonno che richiede una particolare cottura alla brace)
• cervello e midollo (solitamente consumati dai pescivendoli o da chi se ne intende)
• lattumi (sacca spermatica) e ventri (stomaco)
• fegato, viene scartato solitamente perché troppo amaro
• cuore, mangiato cotto e salato, raramente viene conservato
Conservazione
Il tonno non viene né veniva solo cotto: si pratica anche la sua conservazione. In passato, per esempio, veniva di gran lunga conservato sotto sale aggiungendo poco altro: olio, aceto di vino o limone, origano secco, peperoncino. Poi si è passati alla conservazione su larga scala in olio, ma c’è ancora chi tenta qualche personale sistema di ‘riposo’ con odori interessanti.
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